Il
denso fumo sprigionato nell’incendio e la polvere piovuta dal cielo come
neve di gennaio, gli impedivano di respirare. Sentiva dolore dappertutto
e la testa sembrava quasi volergli scoppiare. Gli bruciavano gli occhi e
non riusciva a capire dove si trovasse. Intorno solo polvere e fumo. E
urla, urla di terrore. Poi un rumore sordo. Un’esplosione. Altro fumo.
Altra polvere. Altre urla. “La Torre Sud!” esclamò qualcuno che non riuscì a vedere e Ray capì di trovarsi all’inferno. Era l’11 settembre. Quel maledetto 11 settembre. E rimase paralizzato al centro di quel vortice, bloccato dal terrore che gli impediva di fare anche un solo passo, di porgere la mano per aiutare chi, davanti a lui, non riusciva a reggersi in piedi. Immobile come spettatore inconsapevole, incapace di reagire mentre un ticchettio regolare sembrava scandire i secondi. Il conto alla rovescia verso la morte. E le urla si fecero più strazianti, sempre più assordanti. Voleva fuggire lontano da lì, ma le gambe sembravano non voler rispondere ai suoi ordini, lasciandolo lì ad assistere inerme a quell’immane catastrofe. E poi sentì urlare il suo nome. La voce diventava sempre più vicina. Si voltò, ma dietro di lui c’era solo vuoto e desolazione. Un deserto di polvere grigia e nemmeno un’anima viva. Solo morte e distruzione. Eppure la sentiva ancora. Senza sapere perché alzò gli occhi e la vide. Stava precipitando. S’era lanciata nel vuoto pur di scampare a una morte orribile, andando incontro a un destino ben più terrificante. Lei si schiantò a pochi metri da lui. Vide il suo corpo scosso da leggeri spasmi. Nonostante il volo nel vuoto era ancora viva. La prese tra le braccia e solo in quell’istante la riconobbe. Era Cassie. Un rivolo di sangue le segnava la pelle candida del viso, mentre i suoi occhi lo fissavano. Per un istante Ray ebbe la sensazione che gli stesse sorridendo ma un attimo dopo percepì tutto il peso del suo corpo esanime. “Nooooooooo!!!!” strillò stringendola al petto, dando fiato alla sua disperazione mentre lacrime roventi gli rigavano le guance. “Ray? Che succede?” Era la sua voce. Si ritrovò seduto nel suo letto, fradicio di sudore e Cassie era lì, accanto a lui ed era viva. Era stato solo un incubo. Il solito incubo che lo perseguitava da cinque anni. Ma questa volta ben più orrendo. “Tutto bene, amore mio?” insistette lei. S’era inginocchiata vicino a lui e l’aveva stretto tra le braccia. Sulla schiena percepì il calore del suo corpo e la sua nudità. Annuì evitando di guardarla. Non voleva farsi vedere in lacrime. Guardò la radiosveglia. Le 3:45 dell’11 settembre. Cinque anni dopo. Eppure paura e terrore erano ancora vivi dentro di lui e sembravano volerlo divorare. Si prese la testa tra le mani, sperando che quei ricordi potessero abbandonarlo un giorno, ma sapeva che sarebbe stato impossibile dimenticare. “È stato solo un incubo.” disse lei. “Sempre lo stesso.” gemette lui, cercando rifugio tra le sue braccia. Aveva nello sguardo lo stesso terrore di quella mattina, nell’istante in cui si rese conto che la torre sud stava collassando su se stessa. “Dio mio, Ray.” sospirò Cassie stringendolo a sé, “Sta’ tranquillo…” Ray non rispose, non aveva molto da dire. Sapeva di aver fatto tutto il possibile, quella mattina, precipitandosi lì per dare una mano. Ma questo non gli impediva di sentirsi in colpa per essere ancora vivo, mentre migliaia di persone innocenti non ce l’avevano fatta. Rimase immobile, tra le braccia di Cassie, col visto nascosto tra i suoi capelli e si abbandonò a un pianto quasi liberatorio. Ma nulla l’avrebbe fatto tornare quello di prima, quello che era prima di quella maledetta mattina di cinque anni prima. E anche se Cassie l’aveva aiutato a ritrovare un po’ di serenità in quella sua vita che sembrava andare alla deriva, ancora c’era molto da lavorare. Ma forse Cassie aveva la soluzione. Una sorpresa per lui, un regalo fatto con tutto l’amore che poteva. Ed era in arrivo. Ma lui non lo sapeva ancora. E nemmeno lei. © Tix Nel quinto anniversario della tragedia dell’11 settembre, vorrei dedicare questo racconto a tutti coloro che vivono ancora con lo stesso senso di colpa del protagonista: essere sopravvissuti ad amici e colleghi. E dedico questo racconto a tutti i bimbi rimasti senza un papà o una mamma e a tutte le famiglie distrutte dalla crudeltà umana. |